Senza barca non si naviga, dicono i marinai. Allo stesso modo, senza porti non si traffica. Ma soprattutto, senza porti, oggi, non si vive. Un dato serve a coglierne l’importanza: il 90% delle merci viaggia via mare.

Eppure, in Italia di porti si parla poco. Il tema sta rimbalzando sui media negli ultimi giorni per le proteste dei portuali di Trieste contro il green pass. In realtà, la questione è sterminata quanto trascurata. Gli attori in scena sono molti: l’Europa e il Mediterraneo, l’Italia con le sue infrastrutture, gli orientali, esperti commercianti e aspiranti protagonisti. Le onde sono agitate dalla cronaca: crisi dei semiconduttori, pandemia, cargo in attesa nei porti. Insomma, meglio armarsi di taccuino e indossare un salvagente.

Prima domanda: quanto vale il trasporto marittimo in Italia? «Nel 2020 il valore degli scambi commerciali via mare è stato pari a 206,3 miliardi di euro: 99,8 miliardi in import e 106,5 in export. Si è registrato un calo del 17% sull’anno precedente», dice il rapporto «Italian Maritime Economy» di Srm (Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo), uscito a luglio 2021.

Trieste, Genova, Augusta, Cagliari e Milazzo rappresentano il 69% del traffico liquido nazionale. Ma la vera risorsa del 2020 è stato il meridione: i porti del sud hanno rappresentato il 47% del totale del traffico italiano e gestito 207 milioni di tonnellate di merci. A questo punto, sono necessarie alcune precisazioni. La prima: Genova e Trieste sono un esempio di efficienza infrastrutturale perché la crescita del traffico è legata anche all’aumento dei collegamenti ferroviari. I porti sono un luogo di transito. La successiva fase di smistamento e distribuzione dev’essere dinamica. Trieste ha una straordinaria vocazione europea: i collegamenti via treno toccano Turchia, Germania, Svizzera e Danimarca. A Genova, nel primo trimestre del 2021, hanno viaggiato 1296 treni in più rispetto al 2020, con una media di 31 al giorno. Così, il secondo trimestre si è chiuso con una crescita del 37,9% nel traffico di container, come mostra una nota dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale. Seconda precisazione: nel Mezzogiorno le imprese puntano sempre più sulla via marittima. Il 57% dell’interscambio del Sud avviene via mare, contro la media italiana del 33%. Il mercato chiede, i servizi offrono. Io aiuto te, tu aiuti me.

Ma cosa trasportano queste navi? L’Italia è leader nello Short Sea Shipping nel Mediterraneo, ossia nel trasporto via mare a corto raggio (244 milioni di tonnellate di merci trasportate nel 2020). Inoltre, è specializzata nelle rinfuse liquide (157 miliardi di tonnellate nel 2020) e nelle Ro-Ro (105 milioni di tonnellate nel 2020). Con rinfuse liquide s’intende il trasporto di olio, petrolio o derivati attraverso navi cisterna. I Ro-Ro (roll-on/roll-off) sono traghetti progettati per trasportare automobili, autocarri o vagoni ferroviari.

Apparentemente, la situazione è eccellente. Eppure, per citare un altro proverbio, barca senza timone non trova porto. Ed è vero. L’Italia non ha una visione strategica d’insieme. Le Autorità portuali agiscono singolarmente. Risultato finale? L’enorme potenziale geografico non è sfruttato. Ed è un problema. Perché il Mediterraneo è un mare in cui si concentra il 27% dei circa 500 servizi di linea mondiali via nave.

La posizione privilegiata dell’Italia dovrebbe permetterle di essere un punto d’incontro fra Europa e Africa. La forma da stivale consente di avere molteplici punti di riferimento, ma impedisce la vicinanza tra i centri principali del Paese. Più uno Stato è lungo, più è alto il rischio di differenze identitarie. Per questo il confronto con i porti del Nord Europa è complesso. Amburgo, da solo, intercetta il 70% del trasporto marittimo tedesco. Lo stesso vale per i Paesi Bassi con Rotterdam e per il Belgio con Anversa. Ma, proprio per questo, in Italia è ancor più necessaria una visione comune, in grado di connettere più realtà. In grado, ad esempio, di rafforzare il traffico dei container. A livello globale questo settore rappresenta la modalità di trasporto prediletta per il commercio di beni. L’Italia, invece, è da anni ancorata intorno ai 10 milioni di Teu (la misura standard nel trasporto dei container Iso). Un’impreparazione che pesa se si pensa all’impennata dell’e-commerce nel 2020, causata dalla pandemia.

Sul taccuino, ormai scarabocchiato, resta una domanda: i fondi del Recovery Plan destinati ai porti riusciranno a risolvere problemi culturali e ideologici, oltre che logistici? In ogni caso, l’avvertimento è chiaro: chi perde in mare, perde in terra.


L’Osservatore Romano – 22/10/2021

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