In effetti Roma non è (forse) una città per giovani. Sono in particolare due i dati che suggeriscono questa osservazione. Il primo: il 53% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni a Roma afferma di avere un contratto di lavoro precario, atipico o a termine.
Il secondo: l’offerta culturale a Roma presenta una fortissima disomogeneità sul territorio. In alcune periferie non esiste neanche un cinema, un teatro o una biblioteca. Ma per capire, per conoscere questi aspetti, occorre procedere con cautela. Bisogna interpretare i dati.
Le statistiche sul lavoro giovanile a Roma meritano di essere approfondite. In primis, ci si può domandare in che modo i ragazzi accedano al mondo del lavoro. Secondo un rapporto di Roma Capitale e Demoskopika del 2018 sui romani tra i 18 e i 35 anni, il 62% degli intervistati dichiara di inviare il proprio curriculum vitae. Le restanti modalità sono rappresentate dal rivolgersi a parenti e amici, ai portali del lavoro o agli annunci. Ma solo il 4% dei ragazzi fa affidamento ai centri pubblici per l’impiego. Pochi li usano e, dunque, pochi ci credono. Significa che la fiducia nel servizio messo a disposizione dalla propria città è scarsissima. Piuttosto, si preferiscono i mezzi propri. Tuttavia, è doveroso sottolineare che questo fenomeno non riguarda solo la Capitale. Secondo l’ultimo monitoraggio del governo italiano, le assunzioni attraverso i “Cpi” nel triennio 2019-2021 sono state meno di 1.300. In alcune regioni, come l’Abruzzo o la Campania, sono addirittura a quota zero.
E una volta entrati nell’ambiente lavorativo? Con quale tipo di contratto vengono assunti i ragazzi? Il rapporto di Roma Capitale afferma che il 62% degli intervistati ha un lavoro da dipendente a tempo indeterminato, il 15% un lavoro autonomo con partita I va, il 13% un lavoro dipendente a tempo determinato. Ma, se si restringe la fascia d’età, i dati diventano piuttosto allarmanti. Con riferimento ai ragazzi tra i 18 e i 24 anni, ben il 53% di loro dice di avere un contratto di lavoro precario, atipico o a termine. I ragazzi in questa fascia di età presentano una situazione particolare: molti cercano di mettersi da parte qualche soldo facendo il cameriere, il riders, la babysitter… ma in quali condizioni di sicurezza versa il loro servizio? Chi se ne occupa? E soprattutto, chi ne parla? Domande che per lo più cadono nel vuoto.
Cambiando tema, si presenta un’altra domanda: i giovani a Roma come impiegano il tempo libero? Oltre al “fedele compagno” chiamato internet, di cui usufruiscono il 95% dei ragazzi, le attività principali sono rappresentate dal praticare sport (69% dei giovani intervistati) e guardare film/serie-tv (57% lo fa una o più volte a settimana). Poi si trova la lettura di libri o quotidiani online, assistere ad eventi sportivi e il cinema.
Come risponde Roma a queste esigenze? Per capirlo, bisogna incrociare i dati. Per quanto riguarda lo sport, secondo una statistica de «Il Sole 24 Ore», Roma è al terzultimo posto per numero di aree sportive all’aperto dedicate ai giovani. Ci sono 0,5 metri quadri di spazio sportivo all’aperto per ogni abitante tra i 18 e i 35 anni. Sono dati da bollino rosso.
E l’offerta culturale? Ossia il numero di cinema, teatri e biblioteche? Lo si diceva all’inizio. La piattaforma online «MappaRoma.info» rileva una forte disomogeneità territoriale. Le aree centrali presentano ottimi valori, superando la soglia di 1 struttura ogni 1.000 abitanti. Lo stesso vale per le zone universitarie come San Lorenzo o Tor Vergata. Ma in molti quartieri non esiste neanche una delle tre strutture considerate. Si tratta di aree come Fidene o Casalotti, ma anche Infernetto o Medaglie d’Oro.
Se non si capiscono i motivi di tutto ciò, si conoscono però le conseguenze: la carenza di luoghi di socializzazione penalizza le relazioni. Si crea un’atmosfera di individualismo e chiusura, soprattutto nei soggetti più giovani, i quali non si sentono parte della città e del clima culturale nel quale sono immersi i cittadini più fortunati. Nel migliore dei casi, alcuni, quando devono uscire di casa, cambiare zona. Nel peggiore dei casi, quando non c’è la possibilità di spostarsi con i propri mezzi, se ci sono scarse possibilità economiche, entrano in gioco due parole chiave: disomogeneità e disuguaglianza.
Questa analisi non ha l’intenzione di proporre soluzioni. Ma un appunto è doveroso farlo. I fenomeni di cui si parla riguardano, più o meno, tutte le città. È lecito domandarsi come si agisce al di fuori di Roma. Questi problemi vengono risolti? Se sì, come?
Parigi, Francia. Lo sport. Per notare la differenza con il servizio messo a disposizione dalla città di Roma, basta andare su internet. Il sito ufficiale dell’ufficio Turismo e Congressi di Parigi consiglia una serie di attività, parchi e corsi gratuiti. Da Parc de La Villette a Jardin Tino Rossi. Dallo yoga al basket. Chi li mette a disposizione? Il Comune. Cosa sfrutta? I parchi e gli spazi verdi. Niente di particolarmente innovativo. Ma tutto particolarmente facile e apparentemente funzionante. Poi c’è Londra, Regno Unito. E l’esempio della London Youth Assembly, una federazione volontaria costituita da giovani londinesi e sostenuta dalla Greater London Authority. Essa svolge un ruolo sia di coordinamento tra i consigli dei distretti di Londra, sia d’informazione attraverso un forum dedicato alle politiche giovanili. Infine, Stoccolma, Svezia. Tra il 2010 e il 2013 l’agenzia di collocamento (Jobbtorg) ha coordinato il progetto FILUR . Sono stati offerti ai giovani dei corsi di formazione personalizzati, stage in aziende e servizi di tutorato. Sei mesi dopo l’inizio del progetto, tre quarti di loro ha trovato un posto di lavoro o ha ripreso gli studi.
Non si può pretendere che certi modelli vengano trapiantati in realtà completamente diverse. Ma che, quantomeno, ci si metta all’ascolto dei problemi di intere generazioni, sì.
L’Osservatore Romano – 11/9/2021