Dati, mappe, indici. Poi la trasformazione in parole e la descrizione della realtà. Il risultato? L’accessibilità al sapere in modo facile. Dietro questo lavoro c’è Salvatore Monni, professore associato di economia dello sviluppo all’università Roma Tre. Nel 2016 ha fondato mapparoma.info, un sito che propone dati facilmente fruibili su tutti i quartieri romani. Ha scritto anche un libro, insieme a Keti Lelo e Federico Tomassi, dal titolo Le sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe, uscito il 24 giugno per Donzelli Editore. Lui disegna mappe. Per noi sarà una bussola che orienta tra le disuguaglianze della Capitale.

Perché un professore di economia dello sviluppo, alle prese con sostenibilità e indici della povertà, si dedica ad una città i cui problemi fondamentali sembrerebbero riguardare soprattutto rifiuti, trasporti e strade? Qual è il contributo che può fornire?

L’economista dello sviluppo non osserva solo i dati o i classici indicatori macroeconomici. È abituato a collaborare con gli altri scienziati sociali, a studiare la complessità e la totalità di un problema. Anche recandosi direttamente sul posto. E controllando l’affidabilità di quei dati. Io non mi accontento di studiare il Pil o le dichiarazioni dei redditi di un’area. Vado, per esempio, a leggere il livello d’istruzione. Prendiamo il caso di Roma. Ai Parioli il 42% della popolazione è laureata. A Tor Cervara solo il 5%. Il rapporto, in termini di zona urbanistica più istruita e meno istruita, è 1 a 8. Quasi tre volte quello in termini di reddito. Attraverso questo sguardo, mi accorgo che la maggior parte dei problemi della città è causato dalla differenza di opportunità. Oggi, a Roma, nascere in un quartiere piuttosto che in un altro significa avere più o meno possibilità di essere istruiti. La nostra prima Mapparoma mostra che, in alcune zone della città, il 30% della popolazione ha solo la licenza elementare. Nella nostra dodicesima Mapparoma abbiamo misurato l’indice di sviluppo umano per i diversi municipi, basandoci sullo Human Developement Index delle Nazioni Unite. Risultati? A Roma c’è addirittura un municipio (il sesto) che ha un valore inferiore allo 0,4%. Significa che è classificato come un Paese a basso sviluppo umano! Una realtà completamente diversa se paragonata a quella di altri quartieri. Ma simile a quella dei Paesi più poveri del mondo.

Cito un suo slogan: «Roma che rinasce, Paese che guarisce». Ma esiste un vaccino per far guarire la Capitale? E se sì, quale?

Certo. Io credo che oggi, più che redistribuire reddito, sia importante redistribuire opportunità. Dare a tutti le stesse possibilità. Indipendentemente dal quartiere in cui si nasce. Opportunità non significa solo istruzione, ma anche cultura, sanità, servizi, sicurezza. In questa direzione dovrebbe andare l’investimento dei fondi che Roma riceverà grazie al Recovery Plan: portare il lavoro nelle periferie. Dobbiamo ricordarci che il lavoro non è semplicemente reddito. Lo dice spesso Papa Francesco: il lavoro è essere parte della propria comunità. Significa realizzare sé stessi. A me piace dire che nelle periferie c’è una grande effervescenza. Culturale, intellettuale, imprenditoriale. La città è piena di talenti. Bisogna investirci e trasformarli in ricchezza. Non è solo una cosa buona. È anche efficiente. Per la rinascita e poi per la crescita della città.

E per il perseguimento e la realizzazione di un obiettivo del genere, entrano in gioco i dati.

Sì. Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro, nel 2016, con Mapparoma, avevamo uno scopo: mettere a disposizione dati. Per due motivi. Il primo: oggi, spesso, c’è un racconto della società che non tiene conto dei dati. Il secondo: rendere disponibili i dati per chiunque. Dai politici ai ricercatori fino ai cittadini. Leggere la città attraverso i dati: è un elemento importante per combattere le fake news. Abitua noi e chi ci legge a raccontare la realtà attraverso la verificabilità».

Un progetto importante anche per il Vicariato. Lei lo ha presentato alla Diocesi di Roma. Come può evolvere il contributo che la Chiesa è in grado di fornire alla città?

Ciò che ho detto per la politica vale anche per la Chiesa. Essa ha la necessità di conoscere la città e i suoi abitanti. Per farlo bisogna avere con-sapevolezza del cambiamento in atto. Il lavoro che
Papa Francesco sta portando avanti va proprio in questa direzione. Il Pontefice ha compreso il problema della scarsa conoscenza del territorio. Ed ha schierato in campo delle pedine fortissime: l’umanità, l’aiuto, il dialogo. I parroci, i centri Caritas, gli incontri.

Poi c’è il passaggio dall’online al cartaceo. Il 24 giugno è uscito «Le sette Rome».

Il senso di scrivere questo libro è stato trasformare i dati in parole. Rendere accessibile a più lettori il nostro materiale. Nel primo capitolo si cerca di comprendere perché Roma è una città così diseguale. Nel secondo si parla delle sette Rome. Delle città dentro la città: quella del disagio, la storica, la città-campagna… E nel terzo capitolo ci dedichiamo, attraverso i dati, a far emergere le peculiarità della città durante la pandemia. Un esempio? A novembre 2020, a Tor Bella Monaca, le domande di aiuto complessive ai servizi Inps (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, cassa integrazione) erano trentamila. La popolazione attiva è di settantamila unità. Una persona ogni due in età attiva ha chiesto un sostegno. Questo è stato il covid nella nostra città. E, soprattutto, dove il disagio è più forte.

Non a caso, la settima città di cui parlate nel libro è quella degli invisibili.

A tal proposito, mi piace raccontare un aneddoto. Nelle note del libro ricordo l’introduzione di suor Alessandra Smerilli alla lettura dell’enciclica di Papa Francesco. L’autrice racconta che, nella navata superiore della basilica di San Francesco d’Assisi, vi sono ventotto affreschi dipinti da Giotto che narrano la vita del santo. Ma questi affreschi dovevano essere ventinove. Ne manca uno. Era quello del bacio di Francesco al lebbroso. Un affresco che i ricchi della città non vollero. Partendo da questa immagine, è nata l’idea della città degli invisibili. Essa non ha limiti spaziali, a differenza delle altre sei. È ovunque. Ed è un pezzo importante della città. A Roma ci sono moltissimi invisibili che camminano per la città e noi fingiamo di non vedere. Può essere un bastone che tiene sollevato un secchione o un accampamento fuori la stazione ferroviaria. Non vogliamo vederli raffigurati. Un po’ come i ricchi di Assisi. E invece, la ricchezza dell’umanità è tutta lì.


L’Osservatore Romano – 21/8/2021