Fragilità. Esperienza. Condivisione. Alterità. Sovrabbondanza. Trascendenza. Sei parole, una risposta al riduzionismo. Una ricucitura della vita umana. Attraverso il racconto di dolori, ripartenze e sentimenti. Attraverso la narrazione di esempi per la società. «Genius Vitae», piattaforma online nata dalla partnership fra l’Anthropology of religion and cultural change dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Pontifical Academy for Life, è tutto questo. Comprendere, raccontare e condividere storie esemplari.
Fra le narrazioni presenti nel sito di «Genius Vitae», fin dall’inizio mi ha particolarmente affascinato quella della Fraternità di Romena. Immersa nelle praterie toscane, in provincia di Arezzo, la Fraternità nasce nel 1991 per iniziativa di don Luigi Verdi. Oggi è diventato un luogo di sosta per moltissimi viaggiatori. Un tempio sempre aperto con tre cuori pulsanti: l’antica pieve romanica di Romena, l’eremo di Quorle e l’eremo di Coltriciano. Questo luogo è un crocevia di esistenze e un’immersione nella meditazione. Una candela costantemente accesa che illumina la via.
«La Fraternità di Romena è nata da una mia crisi personale — mi rivela don Luigi — causata da due grandi angosce: la timidezza e le mie mani, affette da malformazione sin dalla nascita. Avevo gli occhi impauriti dalla timidezza e le mani scalfite dall’imperfezione. Nonostante ciò, in me c’era un gran desiderio di aiutare l’altro. Ma come farlo, se ero incapace di aiutare me stesso? La lettura di un salmo mi ha aperto gli occhi: diceva che “la pietra scartata è diventata la pietra angolare”. Così, mi sono adoperato per cercare una soluzione. E l’ho trovata negli occhi delle persone. Ho passato un anno intero a guardare negli occhi il prossimo senza mai abbassare lo sguardo. Sudavo, tremavo, ero in imbarazzo. Molti mi prendevano per stupido. Ma non sono mai scappato da nessuno. Non ho mai evitato quegli occhi spesso anonimi ma pieni di storie e di necessità di dialogo. Ho cominciato a lottare con me stesso, perché nella vita si cambia con forti grida e con le lacrime. Così, questo percorso mi ha portato a chiedere al vescovo di affidarmi il luogo in cui sorge Romena che, al tempo, era inutilizzato». L’obiettivo quello di dare una mano a chi aveva avuto una crisi, aiutare a trasformare la difficoltà in opportunità. «Poi — prosegue Verdi — con le mie mani ho iniziato a creare, attraverso la scultura. Nella Fraternità, oggi, ci sono molte icone realizzate con il ferro scartato dai contadini. Mi piace l’idea di trasformare uno scarto in bellezza. Chi si sente rifiutato può mettersi nelle mani del prossimo ed essere convertito in meraviglia. Insomma, la timidezza e le mani: perché le cose peggiori di me non sarebbero potute diventare le migliori?».
È così che nasce la Fraternità e, con essa, le sue attività. Romena accoglie chiunque si trovi in una situazione di crisi o sia in cerca di una pausa dalla quotidianità. Momenti di preghiera e di riflessione, corsi e lavori di gruppo, in particolare per famiglie, genitori e giovani. Inoltre, conferenze con ospiti come Erri De Luca o Pupi Avati. E soprattutto Simone Cristicchi, con cui don Luigi ha scritto e presentato Le poche cose che contano, tre serate evento prodotte e trasmesse da Tv2000. Lunedì 28 giugno alle ore 21.10, sul canale 28 del digitale terrestre, uscirà in replica l’ultimo dei tre appuntamenti.
Per definire meglio l’essenza della Fraternità, mi sono affidato proprio alle parole di Dario Quarta, autore televisivo di Tv2000 e co-autore di Le poche cose che contano: «Romena è un porto. Una prateria che accoglie pellegrini e mendicanti. Un’oasi in cui don Luigi ha portato la sua storia. Una storia che, in fondo, è quella di molti di noi. Non si danno risposte, a Romena. Si condivide l’esperienza e il pezzettino di strada con coloro che si avvicinano. Ci si va per fermarsi, fare dei respiri, dedicare ore alla meditazione. Al silenzio. Alle parole di Gigi. Romena è un luogo che sa stare nel dolore: essa accoglie il dolore, sa conviverci, prova a camminarci accanto. È così diversa dai posti della quotidianità, dai tentativi di fuggire dal dolore, dalla nostra fatica di riuscire a comprenderlo. È così unica, armoniosa».
Anche don Luigi mi parla dell’armonia come un grande dono: «L’armonia per me è un più e un meno che danzano insieme. Come nella pieve romanica: ci sono venti cose diverse, ma in fondo ce n’è una sola. Per questo mi piace pensare che Romena sia un luogo in cui si possono riposare Dio e l’uomo. Non è un posto in cui si deve chinare la testa o in cui si vede Dio solo dall’alto. Io ho creato un luogo in cui l’uomo appoggia la testa sulle spalle di Dio e Dio appoggia la testa su di me. E, così, ci si riposa. Uno spazio in cui non si ha l’obbligo di dimostrare, prostrarsi, chiedere. L’idea di fondo è accogliere chiunque». Ma gli incontri in cosa consistono? «Sono basati su tre processi», spiega il fondatore della Fraternità: «Guardarsi dentro. Innamorarsi di Dio. Tornare a casa e campare meglio. Qualcosa di molto semplice, incentrato sul trovare strumenti concreti ed essenziali. Il nostro sostegno non ha come obiettivo quello di convertire qualcuno, bensì quello di dare alle persone la possibilità di ascoltarsi, alzarsi, aprire gli occhi e guardare meglio. Se vuoi far nascere Dio nel cuore delle persone, bisogna pensare a un fiore che sboccia. Non ha bisogno di paletti o regole. Ha bisogno solo di luce, calore e acqua. Per me, incontrare Dio è come un primo bacio. Ci si avvicina alla bocca dell’altro, ma non si sente di carezzare l’altro. Si crede di baciare l’oceano, le montagne, le nuvole. Dio è come quel bacio. Ti cambia. Allarga gli orizzonti».
Fra le attività più importanti, quelle dedicate ai genitori che hanno perso un figlio. «Sì, a Romena c’è “il giardino della resurrezione”, in cui ogni genitore pianta un mandorlo per il proprio figlio scomparso. Il mandorlo è il primo tra i fiori e l’ultimo tra i frutti. È un modo per incentivare il genitore a cominciare a rifiorire, invece di aspettare di rivedere il figlio. Portare avanti la vita anche per chi non c’è più».
Insomma, la Fraternità di Romena non è solo un luogo. È soprattutto un modello di ripartenza, come insegna la storia personale di don Luigi Verdi. Dalle crisi personali nascono le sfide da vincere. Le occasioni per ridare quel primo bacio. Perché è nella crisi, ossia quando si mettono in discussione le certezze e si abbandonano le comodità del presente, che si ritrova la parte più nascosta dell’essere. Il coraggio che non si credeva di avere. La necessità di condividere per vivere pienamente. È un messaggio importante. Soprattutto in tempi di pandemia e per una categoria fragile come quella dei ragazzi, spesso alle prese con un futuro complesso e indecifrabile. Perciò, vorrei concludere proprio con una riflessione di don Luigi sui giovani: «I ragazzi capiscono quando una cosa è vera. E anche quando una cosa è bella. La valorizzano. E lo sanno fare perché ti guardano con occhi critici. Non per criticarti, ma per filtrare se ciò che stai dicendo è vero o falso. Al di là di tutte le apparenze, io credo che i giovani abbiano bisogno di tre cose semplici ma essenziali: una casa, un po’ di pane, molto affetto. Questi ragazzi sono pieni di gioia solo quando si sentono a casa. Ma sentirsi a casa non vuol dire avere quattro mura domestiche. Vuol dire un luogo in cui qualcuno mi guarda, mi ascolta, mi perdona. Casa può essere un gruppo di amici, un angolo di strada, una piazza. Se non ti guarda nessuno, ti senti morto. Se qualcuno ti ascolta, ti senti unico al mondo. Altrimenti ti senti un numero. I giovani hanno bisogno di corporeità e hanno il desiderio del contatto. Solo così possono sentirsi vivi. Liberi. Essenziali».
L’Osservatore Romano – 26/06/2021