Pensieri della domenica – primavera 2020

Domenica 29 marzo 2020 – “Oggi scatta l’ora legale”


Oggi è scattata l’ora legale.

Per un attimo, un’ora non è esistita.

Mai come oggi, quell’ora invisibile ci fa capire ancora di più che il mondo di ieri è finito, ma che quello di oggi non è ancora nato.

Quell’ora invisibile si è improvvisamente dilatata. E noi abbiamo fatto tardi anche oggi.

Mi è venuto in mente un pensiero dell’avvocato Carlo Bucci. “A tutti i vivi donerei l’anello che si dice fosse al dito di Re David. Incise sul suo castone tre parole, da leggere tanto nei momenti di crisi quanto in quelli lieti: “Anche questo passerà”.

Ma un dono ugualmente prezioso vorrei farlo a tutti i morti. Anche per essi un anello, recante però un motto diverso: “Accadde davvero”.

Domenica 5 aprile 2020 – “Solo i bambini possono uscire di casa”


In questi giorni si è detto che solo i bambini, accompagnati da un genitore, potranno uscire di casa.

Nell’attesa di un secondo allentamento delle misure prese dal governo in seguito all’emergenza che stiamo vivendo, mi immagino un mondo di soli bambini e genitori. Un mondo agli opposti, fatto di mani tanto grandi da un lato e mani tanto piccole dall’altro, di professionisti e dilettanti della vita che collaborano, di caschi per ricostruire strade e caschetti per imparare a vivere, di speranza per la sopravvivenza e fiducia per la vita.

Sopravvivere non significa vivere. E sperare non significa fidarsi.

La bambina col triciclo si volta verso la madre, a pochi passi da lei, e, con fiducia nei suoi confronti, le domanda: “Mamma, quando potrò giocare anche con gli altri bambini?” “Presto, Agata, molto presto” le risponde la madre.

Agata è in attesa di un futuro che, in fondo, ha già vissuto. È un futuro passato. Un tempo dilatato addirittura nel nome. Si è già fatto rimpianto, mancanza, nostalgia. E a sei anni non si possono avere rimpianti.

La bambina col triciclo è fiduciosa che quel presto arriverà molto presto. Non ha mai dubitato. È sicura che, prima o poi, tornerà a giocare con i suoi amici, mano nella mano. Oggi, con la stessa convinzione di un bambino che vuole fare il calciatore, Agata ha deciso che non vorrà mai avere rimpianti nella sua vita. Perciò, ha deciso che in questi giorni imparerà a pedalare senza le rotelle.

Ora resta da capire se un mondo senza rimpianti per uno ieri che sembra già un passato remoto sarà anche solo lontanamente immaginabile. Non solo per Agata.

Domenica 12 aprile 2020 – “La resistenza al pestaggio”


L’Università di Portsmouth ha pubblicato uno studio secondo cui non tutti i fiori hanno la stessa capacità di resistenza al “pestaggio” dell’uomo. Le orchidee si riprendono facilmente, mentre i ranuncoli no.

L’Università della Vita ha pubblicato uno studio secondo cui gli uomini reagiscono in modo simile ai fiori. Non tutti gli esseri umani hanno la stessa capacità di resistenza al “pestaggio” di una storia sempre più colma di paradossi.

Gli ingressi dei supermercati, divenuti ormai le contemporanee agorà, tra volti rassegnati che si confondono, schiene ingobbite e gole secche, ci ricordano i più disparati paradossi dei nostri giorni.

L’Italia è ferma, ma i ponti crollano.

I virologi sono improvvisamente divenuti più importanti ed ascoltati dei politici.

Le forze dell’ordine riempiono ogni angolo delle strade, seminando ansia e garantendo quel livello di sicurezza che per anni noi cittadini abbiamo richiesto invano.

Alcune regioni vietano di uscire di casa senza mascherine, dimenticando che non ve ne sono abbastanza per tutti.

La disciplina tenuta da tutti i cittadini è apparente: essa non è frutto solo del senso civico, ma soprattutto della paura del virus.

Le scuole e le università si sono attrezzate per svolgere le lezioni telematiche, ma non tutti gli alunni hanno a disposizione un computer personale.

Si continua a parlare di problemi di privacy di fronte ad una app per monitorare gli spostamenti dei cittadini, ma si permette ancora oggi la facile circolazione di materiale pornografico non autorizzato su internet.

Ma soprattutto, c’è chi fa la fame e chi la dieta.

I pochi metri che percorriamo appena usciti dal supermercato ce lo ricordano anche oggi. E ci chiedono di fare di più, non solo per noi stessi, per le orchidee che si riprendono dopo il pestaggio, ma soprattutto per il senso civico che questo virus ci dovrebbe insegnare a recuperare, per i ranuncoli, i fiori più deboli ma pur sempre preziosi.

Ah, un ultimo paradosso: pare che anche lunedì ci sarà il sole.

Buona Pasqua e Pasquetta dei paradossi.

Domenica 19 aprile 2020 – “Abbiamo capito che la competenza non basta”


Nel libro “La conoscenza e i suoi nemici”, Tom Nichols analizza, fra le tante cose, la categoria degli “spiegatori: le persone convinte di essere più informate degli esperti e di avere maggiore acume rispetto alle masse credulone”. L’autore riporta i casi più disparati del mito secondo cui “democrazia significa che la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza”: dai no-vax ai no-uova fino ai pro-latte crudo.

Ad oggi nulla è cambiato. Persino di fronte al temuto quanto sconosciuto Corona Virus, qualsiasi cittadino sa perfettamente quali attività riaprire, persino quando e come.

Ogni persona iscritta e non all’albo dei medici ha tra le mani il farmaco antivirus.

Chiunque è in grado di fornire valide motivazioni per uscire dall’Unione Europea. E tutti pretendono di avere ragione.

Paradossalmente, però, abbiamo fatto un passo in più: abbiamo capito che la competenza non basta. La tempesta in cui viviamo ci sta insegnando che gli esperti, nonostante le loro conoscenze, si sono dimostrati impreparati a prevedere e, in buona parte, ad affrontare la situazione attuale. Cosa significa? Che l’innegabile professionalità di scienziati, medici, economisti, statistici, ingegneri e nutrizionisti non è niente senza la capacità di saper decidere dove e come collocare tutte queste conoscenze, nella vita quotidiana del singolo così come in quella della collettività.

I virus della società non sono solo “gli spiegatori”, ma anche i passivi. Non ci si può permettere esclusivamente di studiare il nemico. Bisogna sconfiggerlo a tavolino. Non basterà “convivere con il Virus”, bisognerà prevedere ed evitare i restanti cento. Dopo il presente viene sempre il futuro. E dopo la prima persona singolare viene sempre la seconda. Dall’io al tu. Fino al noi, la comunità, e al loro, le generazioni successive. Non esiste “qualsiasi”, non esiste “ogni”, non esiste “chiunque” né tantomeno “tutti”. Esistiamo noi.

Domenica 26 aprile 2020 – “Fomalhaut b chiama pianeta Terra”


In questi giorni il corpo celeste ribattezzato Fomalhaut b, osservato per la prima volta nel 2008 e ritenuto un esopianeta, è misteriosamente scomparso. Gli scienziati parlano di collisione cosmica.

A me, invece, piace pensare che Fomalhaut b si sia temporaneamente dileguato di fronte alla visione della vita che, di questi tempi, si sta consumando qui, sul pianeta Terra.

Già, perché il misterioso esopianeta sa bene che il nostro mondo, nonostante sia alle prese con una tremenda pandemia, non rinuncia al perenne valzer della brutalità.

Tutti accusano tutti. Impreparazione, sottovalutazione, bugie.

L’Italia sembra essere l’esempio più lampante: governo contro opposizioni, persino su tematiche di primaria rilevanza nazionale. E poi nord contro sud, in uno scontro che richiama le antiche signorie, dalle quali, forse, non siamo mai usciti. Infine, persino l’autorità pubblica contro la Chiesa, a causa della celebrazione liturgica.

Nel frattempo, le vittime che il Virus semina sono migliaia.

Alle porte del nuovo mondo sta bussando un futuro fatto di alti tassi di disoccupazione, povertà, fame, specialmente dove tutto ciò è già una realtà. Le fosse comuni aperte in Amazzonia, le file al banco dei pegni e alle mense dei poveri ce lo ricordano.

E fanno rabbrividire non solo noi, ma anche chi ci guarda, come Fomalhaut b.

Ma quando finirà tutto ciò? E come finirà, soprattutto? Ce lo chiediamo tutti.

Non lo so. Non sta a me dirlo. È difficile vedere la luce in fondo ad un tunnel che sembra infinito.

Tuttavia, qualcosa, se rivolgiamo lo sguardo all’alba del nuovo giorno, si riesce ad intravedere. L’astronomo George Rieke afferma che la scomparsa di Fomalhaut b è la conferma della teoria sull’evoluzione di esopianeti. Parallelamente a Rieke, la storia umana, per dimostrare la teoria sull’evoluzione dell’uomo, afferma che a periodi più bui se ne alterneranno sempre altri più floridi.

Dunque, nel mio piccolo posso solamente sperare che Fomalhaut b tornerà presto a guardarci: significherà che tutto ciò in cui viviamo ora sarà finito. E, forse, quel piccolo corpo celeste, osservando cose migliori sul nostro pianeta, ci guarderà con un po’ più di felicità.

Domenica 3 maggio 2020 – “Intralciare il cammino per indirizzare la storia”


Roma. All’incrocio tra via Abba e via Pontano, un cantiere stradale vuoto. Poco lontano, quattro operai in pausa. Armati di guanti e mascherine, addentano con foga il pranzo. Non scherzano e non ridono. Ognuno mangia in solitario e religioso silenzio, appollaiato su una panchina o dentro la propria macchina. Lo si chiama distanziamento sociale sul lavoro. All’improvviso, un rumore leggero ma inconfondibile: i tappi di una bottiglia di birra che saltano e rimbalzano a terra, tutti contemporaneamente. “Salute!” intonano i quattro operai. È un’orchestra diretta da un Maestro prestigioso ed inconfondibile: la speranza.

Palermo. In via Sicilia, il cantiere per l’anello ferroviario. Tra un martellamento pneumatico e l’altro, uno degli operai alza lo sguardo e individua un anziano affacciato alla finestra che, con gli occhi spalancati ed il viso appassionato, li osserva e, trepidante, domanda:

“Va bene se vi guardo dal terrazzo?”

Non tutti i cantieri sorgono vicino a un’abitazione. Molti piangono l’assenza dei loro più accaniti spettatori: gli anziani.

Veroli. Il cantiere versa lacrime, e lo fa per la scomparsa di un operaio precipitato da dieci metri d’altitudine. Un ballerino che incespica nello spettacolo più importante della sua vita. E cade pregando che i suoi figli vedano ciò che lui non ha visto: la fine della crisi.

Genova. La sirena del cantiere del ponte Morandi annuncia il completamento dei lavori e segna una rinascita. Tutti lo osservano, tutti ne parlano, tutti lo ammirano: i pilastri tricolore insegnano che le cose si possono fare in poco tempo anche in Italia.

Dunque, una breve considerazione: un simbolo dei nostri tempi, difficili ma curiosi, è rappresentato dalle sfaccettature dei cantieri. Luoghi così banali e quotidiani, ma densi di significato e speranze: in una parola, futuro. Intralciando il cammino, indirizzano la storia.

Abituàti, caro futuro, a non essere più guardato dal passato: pare che gli anziani dovranno rimanere a casa ancora per molto tempo. Ma può esistere un giovane senza un anziano che lo consiglia? Un figlio senza un padre che lo educa? Un futuro senza passato? E, se proprio dovesse esistere, come sarà?

Domenica 10 maggio 2020 – “Inno ai giovani d’oggi”


Cari adulti,

non è facile per noi ragazzi stare a guardare il mondo dalla finestra della nostra stanza.

Non è facile perché lì fuori vorremmo esserci anche noi.

Non è facile perché abbiamo paura di contagiare noi stessi e quindi i nostri cari più deboli.

Non è facile perché ci avete sempre detto che i rapporti sui social non sono così reali come crediamo, eppure ora sono indispensabili per la vita sociale.

Non è facile perché non riusciamo a immaginarci come sarà la nostra vita tra un anno. Abitudini, serate, compleanni, scuola, università, notti prima dell’esame, sport: la nostra quotidianità, fatta di attimi che oggi chiamate assembramenti.

Non è facile perché i ricordi scorrono velocemente ovunque, addirittura sulle storie di Instagram, e sembrano sempre più immagini di una vita passata.

Non è facile perché ci avete costantemente raccontato l’adolescenza come gli anni più belli, che sembrano finire troppo in fretta. E noi crediamo che viverli così non sia degno dell’adolescenza.

Non è facile perché non ci sappiamo dare una risposta adeguata e perché di risposte adeguate non ne sentiamo.

Non è facile perché di istruzione se ne parla poco: meglio discutere di stabilimenti balneari e campionato di calcio, no?

E non è facile perché, spesso, pensiamo di non essere grandi abbastanza per poter uscire da quella finestra.

Allora, a volte, persino nei pomeriggi primaverili, preferiamo tenere chiusa la finestra, come fossimo tutti allergici al polline. Vivere passivamente il presente, come spettatori di una serie su Netflix, senza sapere cosa accadrà nel prossimo episodio, nel futuro.

Vivere senza realtà. Non è facile, ma noi lo facciamo.

Perché crediamo in voi e nel fatto che senza passato non ci possa essere presente né tantomeno futuro. E un giovane senza fiducia nel futuro, così come uno che si limita ad essere uno spettatore passivo del presente, non può e non deve esistere.

Un ragazzo deve permettersi di sognare.

E vi crediamo anche perché, permettetemi, abbiamo un grande senso di responsabilità. Non dimenticatelo. Non screditateci. Parlate anche a noi e di noi. E, una volta usciti da qui, cercate di darci più fiducia e ascolto. Grazie.

Domenica 17 maggio – “C’era una volta un fotografo e tre ragazzi fermi a un bivio…”


In questi giorni, i ricercatori della Caltech University, California, hanno brevettato una macchina fotografica superveloce, in grado di scattare 70 trilioni di fotogrammi al secondo. Essa potrebbe catturare il fenomeno della fusione nucleare.

Un fotografo romano ha l’onore di provare la fotocamera. Munito di mascherina, sgattaiola per Roma alla ricerca dell’ispirazione. E la trova quando vede tre ragazzi in bicicletta, fermi ad un bivio. Il fotografo non ci pensa due volte: toglie il tappo e guarda nel mirino. È pronto a scattare.

In quel momento, però, realizza che la fotocamera è in grado di andare oltre l’apparenza. Al di là della fusione nucleare. La macchina è in grado di vedere la fusione umana. Gli impulsi chimici del cervello. Corteccia e neuroni. Pensieri e desideri. Improvvisamente, gli pare di essere accanto a quei ragazzi. E di capirli.

Uno dei tre sta pensando ai suoi genitori, costretti a chiudere il negozio di famiglia a causa della crisi economica. E non sa come dirlo agli amici di una vita. Non sa perché non vuole. Segreti orgogliosi di un adolescente.

Un altro, ad occhi chiusi, immagina di essere circondato da persone che, passandogli accanto, lo strattonano involontariamente. E prova un brivido. Quel brivido che, diceva Canetti, si arrocca nella nostra identità, minata dal contatto imprevisto. Speranze infinite di un adolescente.

E l’altro sta morendo dalla voglia di abbattere la barriera del distanziamento sociale. Vorrebbe abbracciare gli amici che non vedeva da mesi. Non gli erano mai sembrati così belli. Ma non può. Deve aspettare tempi più sicuri. Rinunce di un adolescente ai tempi del Covid.

Tutti pensano che Roma sia una grande maestra.

Essa accende il desiderio di sapere.

Il fermento della curiosità.

Il tormento giovanile di uscire dalla finestra della propria stanza, alla ricerca del vecchio e del nuovo.

Il desiderio di sapere: il vaccino più formidabile nei confronti del delirio dell’ignoranza.

Allora il fotografo scatta la foto. E vede e sente tutto ciò.

La sete di curiosità. Tempestosa gioventù.

L’acne sulle guance. Complicata adolescenza.

Il tappeto di sanpietrini sotto i piedi. Scomoda città. Ma pur sempre infinita.

Domenica 24 maggio – “Alla ricerca dell’estate perduta”


I nuovi provvedimenti dicono che quest’estate le spiagge non saranno come prima: niente sport di gruppo, un bambino alla volta per attrazione, mascherine all’ingresso e all’uscita. Ai bagnini è proibito intervenire con la respirazione bocca a bocca in caso di emergenza. Ah, ed è anche “fatto divieto di annegare”. Sulle distanze decidono governo, regioni e comune. Fante, cavallo e re. Chi riesce a metterli d’accordo vince un materassino.

Sono a Roma, sotto un cielo piuttosto nuvolo, protetto dalle inferriate di una finestra che affaccia su una città sempre meno silenziosa. E cerco l’estate, quella vera. E con lei il mare, che mai come oggi mi sembra terribilmente lontano.

La perseveranza mi consiglia di trovare un rimedio a questa mancanza. Dunque, afferro una delle conchiglie che conservo fedelmente nella libreria e la porto all’orecchio. E mi metto ad ascoltare. E sogno, ad occhi chiusi.

Improvvisamente, i miei piedi sprofondano in un parquet fatto di sabbia. Calpesto ogni singolo granello. E vedo e sento le onde, i pesciolini, le isolette, amorfe e lontane.

Osservo prima le boe bianche e rosse, lontane come il futuro, poi gli ombrelloni colorati, i lettini consumati, i bagnini e i bagnanti, gli anziani che non invecchiano e i bambini che non crescono. La spiaggia dell’infanzia e dell’eterno ritorno.

I capelli si scompigliano e cadono sugli occhi. La brezza marina.

Faccio qualche passo avanti e assaporo il contatto col bagnasciuga. Il primo bagno della stagione.

Sento anche un brivido spiacevole. È un pallone che, cadendo in acqua, mi provoca uno schizzetto sulla schiena asciutta. E, per quanto spiacevole possa essere, mi fa capire che ho una gran voglia d’estate.

Allora spariscono i distanziamenti, le mascherine e le restrizioni.

Il mare, prima lontano e cupo, ora lo vedo come è sempre stato e come sempre dovrà essere: limpido ed eterno.

Oltrepasso la riva come un neonato si affaccia alla vita.

Salto le onde come un adolescente dovrebbe affrontare i problemi.

E, tra una bracciata e l’altra, vedo la luce verde, il futuro orgiastico di Joyce. Perché attraversare il mare significa attraversare la vita.

A mio nonno, che la pensava così.

Domenica 31 maggio – “Il ticket sospeso”


Che bellezza la tanto attesa Fase 2: passeggiate, natura, parchi e biciclette.

Così bello che non pare vero. E infatti non lo è.

Mentre penso a queste immagini, durante un pomeriggio soleggiato, sono in fila alle Poste. Già, perché, in seguito all’emergenza e per “garantire un eguale servizio a tutti i clienti”, è stato sospeso il servizio di prenotazione online del ticket. Risultato? Almeno nei centri postali del mio quartiere, le file, interminabili, si ammonticchiano sui marciapiedi. Ma non dovevamo evitare gli assembramenti (parola orribile perché dittatoriale)? Non vogliono addirittura istituire 60mila assistenti col metro, anche chiamati controllori civili? Non sono state create app per prenotarsi un posto al sole?

Di fronte allo sconforto e al nervosismo, cerco un po’ di consolazione guardandomi intorno. La quotidianità mi viene in aiuto.

A pochi passi da me, una mamma con il figlio tra le braccia. Il bimbo tenta di toglierle la mascherina dal volto per vederla sorridere. È la donna più importante della sua vita. E non vuole perdersi un suo solo sorriso, perché quel bambino ha già intuito che l’esistenza può essere piena di imprevisti.

Tutto d’un tratto, nel silenzio rimbombano un paio di colpi di tosse. Le persone li avvertono come fossero colpi di pistola. Allora, titubanti, si coprono meglio il volto e aumentano la distanza.

Ci sono anche i più assidui frequentatori delle poste: gli anziani. I loro occhi osservano le saracinesche abbassate di locali storici, sopravvissuti alle guerre mondiali e agli anni di piombo, ma non all’attuale collasso economico. E non sanno darsi una spiegazione.

Il tempo passa. Il sole batte. Forse gli anziani in fila stanno solo soffrendo il caldo.

Improvvisamente, arriva il mio turno. Con fierezza e curiosità entro nell’ufficio. Solo allora realizzo che, in realtà, non è cambiato nulla.

L’attesa è stata migliore del risultato.

E ora, una volta uscito, il sole sta per tramontare.

Programmi per il dopo? Da vero “giovane irresponsabile”, mi abbandono al vizio e al relax: andrò a bermi un Gin Tonic. Almeno a Roma, i bar non hanno orari. E io vado a caccia di altri attimi di realtà da raccontare.

Domenica 7 giugno – “Per chi suona la campanella”


Mancano pochi minuti alla fine della prima e ultima ora.

Da un banco all’altro, i ragazzi si guardano negli occhi, trepidanti e gioiosi, ma sempre un po’ ansiosi. Alcuni si preparano ad andare al bar del quartiere per fingersi adulti davanti a un caffè. Altri sono attesi a casa per iniziare le vacanze estive. Altri ancora rimarranno a ciondolare per la scuola a salutare professori e bidelli.

Ecco. Sono le nove e un quarto. Suona la campanella. Le sedie vengono trascinante rumorosamente ed inizia la fuga verso le scale. La scuola è finita. Insufficienze e promozioni, liberazioni e gioie inattese, sospiri e angosce, dubbi e certezze si annidano nelle gambe dell’adolescente.

Quest’anno no. Tutto ciò, domani, ultimo giorno di lezioni, non avverrà.

La didattica in presenza non è ripresa e, con essa, anche ciò che si viveva all’interno delle mura di scuola, tutti gli interstizi quotidiani che, per noi ragazzi, significavano andare a scuola. Gli scarabocchi sui banchi prima dei compiti in classe, le corse per la conquista dei posti strategici, le sigarette in cortile e le passerelle delle ragazze più appariscenti che, mentre gli altri sbadigliavano, sfilavano sul tappeto rosso dell’ingresso.

Eppure, nonostante tutto, eccoci qua. Ragazzi e ragazze, liceali e universitari, praticamente incolumi. E se ci siamo riusciti è proprio grazie agli strumenti di cui ci avete tanto rimproverato di abusare. Smartphone, tablet, chat e videochiamate.

Sì, con la modalità telematica avremo copiato meglio e fatto a meno di svegliarci presto, ma abbiamo ancora sete di complicità fra compagni di banco, di dibattiti scanditi da alzate di mano, di calci al pallone per scacciare l’ansia, di sogni disegnati proprio a scuola, tra un’ora di buco e una di lezione.

In nome di tutto ciò, speriamo che la vostra nuova idea di normalità, fatta di ingressi scaglionati, banchi singoli e divisori in plexiglass, sia solo una grande bolla di sapone che sparirà insieme al maledetto virus. E su questa bolla, con l’alito al sapore di latte e spritz, con la voglia di conoscere e l’anima del costante indeciso, siamo pronti a soffiare anche noi.

Domenica 14 giugno – “Focolai di sogni e nostalgie”


Scritto in un venerdì sera innocuo ma felice, come ce ne sono stati tanti.

Sdraiato su una poltrona insolitamente comoda di un lounge bar del centro, circondato da bicchieri vuoti e cannucce deformate al gusto di Gin, con gli amici di sempre abbiamo lasciato a casa le preoccupazioni per fare spazio a interminabili divagazioni notturne.

La notte si è manifestata come l’avevamo lasciata tempo fa. Focolai di sogni e nostalgie si annidano tra locali, muretti, piazze e panchine. Il silenzio con l’eco delle serate in quarantena sostituito dal sottofondo di schiamazzi, pianti, risate e calici che brindano. La spensieratezza. Il sapore di un passato lontano e di un futuro costantemente in ritardo. Gorgoglii notturni. Non ne vogliamo sapere di tornare a casa.

Tutti, poi, sembrano felici di rivederci. Proprietari dei locali, camerieri, macchine in doppia fila che evitiamo con l’agilità di sempre, fornai gioiosi di tornare a distribuire i primi cornetti caldi. Anche i barboni, eterni solitari, padroni delle piazze, tornano a confidarci le proprie storie. E capiamo che ne sentono il bisogno dai loro occhi, perché quel sorriso è costantemente nascosto da mascherine indossate più con pesantezza che con fiducia.

Eppure, non facciamo altro che ciondolare da una zona all’altra, in cerca della giusta atmosfera. I luoghi di sempre sono rimasti lì ad aspettarci, ma ci hanno trovato un po’ più sovrappensiero. Sarà il timore del virus o la fiducia che vacilla, o forse la rinuncia al calcetto e quel brufolo sopra il labbro che non ne vuole sapere di sparire… insomma, il futuro pare troppo lontano. E allora preferiamo non parlarne.

Se gli esperti dell’Indiana University affermano che la diminuzione della nebbia è un fenomeno in aumento, gli (in)esperti dell’Università della Vita, annoiati e incauti, di fronte a un drink consumato, affermano che la nebbia si è spostata tutta nella mente dell’uomo. E questo lo rende estremamente vulnerabile.

“Cameriere, un altro Gin Tonic, grazie. Oggi non guido.”

Era una nota sul taccuino, è diventato il pensiero di questa settimana, perché potevo parlare di tutto ma ho deciso di parlare del niente.