Nel 2022 il costo dell’energia per le imprese italiane potrebbe salire a 37 miliardi di euro a parità di produzione, rispetto ai 20 miliardi del 2021. Si tratta di previsioni critiche se si pensa che, nel primo trimestre del nuovo anno, in Italia le bollette della luce costeranno il 55% in più e quelle del gas il 41,8% in più.
Ma il rincaro energetico non interessa solo l’Italia. Lo scorso 21 dicembre la Russia ha sospeso le forniture di metano da Yamal, uno dei tre gasdotti che porta l’idrocarburo semplice in Europa. Così, i prezzi del gas hanno registrato un aumento del 25,6% per Megawattora ad Amsterdam e del 23,2% per British thermal unit a Londra. Nel frattempo, Germania e Francia continuano a dividersi sul nucleare: Berlino chiuderà tre centrali, Parigi ne costruirà nuove.
Insomma, le notizie sull’energia rimbalzano da una parte all’altra. Tutti ne parlano. Ma quanti capiscono pienamente certe dinamiche? L’argomento è complesso perché coinvolge contemporaneamente scienza, politica ed economia. Dalla geopolitica ai mercati finanziari fino alle bollette della luce. È affascinante, certo, ma il rischio di scontrarsi con slogan e promesse è alto.
Uno spunto per comprendere meglio la questione lo fornisce il libro di Gianclaudio Torlizzi, Materia rara, pubblicato nel dicembre 2021 da Guerini e Associati.
A cosa è dovuto l’attuale rincaro delle bollette energetiche?
Innanzitutto, una premessa: il rincaro delle bollette energetiche si inserisce in una dinamica di rialzo dei prezzi di tutte le materie prime. Acciaio, metalli, beni agricoli. Per capire il motivo, dobbiamo tenere conto di più elementi. Il primo riguarda le politiche economiche di stimolo adottate dai governi in seguito alla pandemia: sono state particolarmente generose, soprattutto sul fronte dei sussidi. Questa ondata di stimoli da un lato ha provocato un boom di consumi ma, dall’altro, si è scontrata con un livello di offerta produttiva invariata, reduce da anni di disinvestimenti nel comparto delle materie prime. In questo settore, infatti, i prezzi erano scesi e le aziende avevano rinunciato a nuovi investimenti. L’incapacità dei produttori di rispondere all’impennata della domanda ha quindi provocato un blackout nella filiera produttiva.
A questo contesto generale si aggiungono elementi più specifici, legati al comparto energetico?
Sì, il vulnus delle energie rinnovabili è che dipendono dal meteo. Lo abbiamo visto nel 2021: se il vento non gira, l’eolico non funziona. L’Unione europea ha quindi cercato di virare sul gas. Ma anche qui è emerso un problema: il mercato internazionale ha bypassato l’Europa. Gli Stati Uniti, produttori ed esportatori del gas naturale liquefatto, preferiscono i Paesi asiatici perché pagano di più. La Russia ha dovuto far fronte a un inverno molto rigido e quindi ha conservato più scorte per la distribuzione interna. A questi elementi si aggiungono poi le strategie geopolitiche dei singoli Stati. Da tutto ciò, emerge che chi non si è assicurato contratti a lungo termine è rimasto scoperto.
È possibile prevedere cosa succederà ai prezzi dell’energia nel 2022?
Il nuovo anno sarà caratterizzato dalla tensione e da una forte volatilità dei prezzi. Il problema dell’energia resterà centrale per l’Europa, che dovrebbe cercare una strategia comune soprattutto per ridurre il gap con altri Paesi. Bisognerebbe riformulare le politiche green, stabilendo un mix energetico più equilibrato.
La pandemia ci ha lasciato qualche lezione utile per il futuro?
Sì: il modello che vince è quello basato su flessibilità e velocità. Quando l’emergenza pandemica finirà, molte aziende avranno capito quanto siamo vulnerabili se dipendiamo totalmente dall’estero. Il covid, infatti, ha comportato un rallentamento dei processi di globalizzazione: la strategia “covid zero” ha spinto al rialzo i prezzi e provocato problemi alle imprese che si riforniscono dall’estero. Bisogna iniziare a pensare ad un modello più locale. Il reshoring è proprio quel processo che, attraverso la re-industrializzazione, mira ad avvicinare il cliente al fornitore e sostenere le fasi di alta congestione. Questa soluzione avrebbe una conseguenza positiva e una negativa: le aeree industrialmente depresse potrebbero assistere a nuova vita, ma ci sarà più inflazione. L’Asia, infatti, è stata per decenni la grande sorgente di deflazione: vendendo a basso costo, ha contribuito ad abbassare i prezzi a livello mondiale.
Le istituzioni decidono, ma sono le aziende, spesso private, che devono adattarsi alla transizione, fatta di costi alti e tempi lunghi.
Le imprese, nel corso degli anni, hanno dimostrato una forte sfiducia verso la politica. Tuttavia, di fronte alle nuove politiche energetiche, si sta tornando al dialogo: gli imprenditori e, ultimamente, le istituzioni stanno capendo che la rivoluzione energetica non è un interruttore che si accende o si spegne. Richiede tempo, confronto, sensibilizzazione. Gradualità. Bisogna capire come distribuire le spese e come ridurre i gap di competitività col resto del mondo. In un mondo così industrializzato, è complesso adottare profondi cambiamenti energetici in poco tempo. Del resto, bisogna capire che le politiche climatiche hanno un forte impatto nello spingere al rialzo i prezzi dell’energia. Dunque, per prendere nuove decisioni e fare qualcosa di importante su questo fronte, bisogna partire da una consapevolezza: le scelte in campo energetico hanno forti conseguenze politiche e sociali.
L’Osservatore Romano – 13/1/2022